La sindrome dell’impostore è un fenomeno psicologico che interessa moltissimi professionisti, e i project manager non ne sono immuni.
Spesso capita di pensare: “Penso di non meritare quello che ho ottenuto”, riuscendo comunque a ottenere risultati brillanti. Ma la paura di non essere all’altezza può trasformarsi in una paura di essere smascherato, condizionando la carriera e il benessere personale.
Vediamo in questo articolo di cosa si tratta e come può essere affrontata soprattutto nel settore de project management.
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Cos’è “the impostor phenomenon”
Coniato da Pauline Clance e Suzanne Imes negli anni ’70, il termine “the impostor phenomenon” descrive proprio questo mix tra dubbi cronici e ansia da prestazione. Secondo le psicologhe Pauline Clance e Suzanne Imes, molti individui, anche quelli con successi ottenuti, temono che il proprio valore venga scoperto come una finzione.
Un potente alleato della sindrome dell’impostore è l’effetto Dunning Kruger, secondo cui chi è molto competente stima le proprie capacità molto più basse rispetto a chi ne ha meno.
Questo crea un divario tra percezione e realtà, alimentato dalle distorsioni cognitive: minimizziamo i nostri successi personali e enfatizziamo gli errori, mentre guardiamo agli altri come se fossero superiori.
Perché i Project Manager sono particolarmente esposti alla sindrome dell’impostore?
Nel campo del project management, la sindrome dell’impostore trova terreno estremamente fertile. Il motivo principale è la complessità e la natura fluida del ruolo.
Il project manager è chiamato a gestire non solo attività, scadenze e risorse, ma anche persone, conflitti, cambi di rotta e aspettative spesso non dichiarate. Si tratta di un ruolo che richiede capacità trasversali: leadership, comunicazione, problem solving, pensiero critico, gestione emotiva.
E queste competenze, a differenza di un titolo accademico o di una certificazione, sono spesso difficili da misurare o dimostrare in modo oggettivo.
Inoltre, a differenza di professioni con percorsi formativi chiari e strutturati (ingegneri, medici, avvocati), molti project manager arrivano a ricoprire questo ruolo senza un percorso lineare o “canonico”. Provengono da ambiti diversi: IT, marketing, operations, vendite, o persino ambiti creativi. Molti sono autodidatti, diventati project manager “per necessità” più che per scelta, imparando sul campo attraverso il learning by doing.
Questa varietà di background, se da un lato arricchisce il profilo, dall’altro alimenta un dubbio interiore costante: “Ho davvero le competenze per guidare questo progetto?”.
E quando si lavora con team tecnici, stakeholder senior o clienti esigenti, la sensazione di “non sapere abbastanza” può diventare paralizzante. Anche i successi ottenuti possono essere attribuiti ad altri fattori: fortuna, aiuto del team, momenti favorevoli e mai alle proprie capacità.
A complicare le cose, c’è il fatto che il successo raggiunto di un project manager è spesso intangibile e condiviso. Non costruisce direttamente un prodotto, non firma un codice sorgente, non lancia una campagna: coordina.
E quando si coordinano persone e processi, diventa difficile prendere pieno merito dei risultati. Questo apre la porta al pensiero ricorrente: “Non ho fatto nulla di speciale, ho solo organizzato le cose” – una forma sottile ma potente di paura di essere smascherato.
Infine, l’ambiente in cui si muove un project manager è spesso incerto, ad alta pressione e pieno di aspettative. Tutti si aspettano che sappia cosa fare, che abbia una risposta pronta, che prenda decisioni rapide anche in condizioni di incompletezza.
Questa pressione costante, combinata con l’abitudine al confronto con gli altri, crea il mix perfetto per attivare i meccanismi tipici della sindrome dell’impostore.

Come si manifesta la sindrome dell’impostore nei project manager
Nel concreto, la sindrome dell’impostore nei PM assume tratti ben riconoscibili:
● Dubbio sulle proprie capacità decisionali e di leadership: ogni scelta sembra passibile di giudizio, ogni errore diventa una conferma di inadeguatezza.
● Attribuzione dei successi a fattori esterni: un progetto riuscito non viene mai vissuto come un successo personale, ma legato alla fortuna, al tempismo o all’aiuto degli altri.
● Paura di essere “smascherati” come incompetenti: l’ansia costante di non essere “veramente bravi” e che qualcuno se ne accorga.
● Difficoltà ad accettare complimenti e riconoscimenti: ricevere elogi viene interpretato come un malinteso o un’esagerazione. Nonostante i successi ottenuti, la reazione è spesso il disagio.
● Tendenza all’isolamento e reticenza nel chiedere aiuto: per non sembrare deboli o impreparati, si evita di chiedere aiuto, aumentando la pressione personale.
Sindrome dell’impostore: strategie per affrontarla
Affrontare la sindrome dell’impostore non è semplice, ma è possibile. Il primo passo è riconoscerla per quello che è: una narrazione distorta di sé, alimentata da distorsioni cognitive e aspettative irrealistiche.
Per contrastarla, è fondamentale agire su tre livelli: mentale, relazionale e operativo.
1.Chiedere aiuto: Spesso chi soffre della sindrome tende a chiudersi, temendo di essere smascherato. In realtà, confrontarsi con altre persone (mentor, colleghi, coach) aiuta a ridimensionare il proprio senso di inadeguatezza e a riscoprire le proprie competenze.
2.Documentare i successi ottenuti: creare un diario professionale o uno storico dei risultati raggiunti (progetti consegnati, milestone rispettate, feedback ricevuti) è uno strumento concreto per ricordarsi che il successo personale non è frutto del caso.
3.Utilizzare strumenti che rendano il valore visibile: qui entra in gioco un supporto fondamentale: la tecnologia. Piattaforme come Twproject offrono ai project manager un ambiente strutturato per pianificare, monitorare e documentare il proprio lavoro.
Tracciando attività, assegnazioni, carichi di lavoro e avanzamento dei progetti, Twproject aiuta a rendere tangibile l’impatto reale del proprio contributo. Vedere nero su bianco quanto si è realizzato può contrastare quel pensiero costante: “Penso di non meritare quello che ho ottenuto”.
4. Coltivare consapevolezza e autoformazione: acquisire strumenti per riconoscere l’effetto Dunning Kruger, identificare i pensieri automatici e correggere le distorsioni cognitive aiuta a ricostruire un’immagine più equilibrata di sé. Formazioni mirate e community professionali possono offrire risorse e confronto costruttivo.
5. Normalizzare l’insicurezza: anche i leader più esperti hanno momenti di dubbio. Accettare che la perfezione non esiste e che l’apprendimento è un processo continuo è fondamentale per uscire dalla trappola del confronto e vivere con più serenità il proprio ruolo.
Grazie a strumenti come Twproject, il valore del lavoro del project manager diventa visibile e misurabile. Quando i risultati sono chiari, condivisi e tracciabili, è molto più facile riconoscere e interiorizzare i successi ottenuti, ritrovando fiducia nelle proprie capacità.